Io sono una lampada ch'arda | soave! | La lampada, forse, che guarda, | pendendo alla fumida trave | la veglia che fila; || e ascolta novelle e ragioni | da bocche | celate nell'ombra, ai cantoni, | da dietro le soffici ròcche | che albeggiano in fila: (Giovanni Pascoli)
lunedì 9 aprile 2012
Aspettando godot
Me ne stavo disteso sul letto. Solo. Silenzioso. Svuotato di qualsiasi voglia di muovermi. Oramai succedeva da un po’, circa due mesi, che prima di dormire vedevo sul soffitto della mia camera scorrere i visi delle donne che avevo amato. Una dopo l’altra mi fissavano, mi sorridevano. Qualcuna l’avevo amata solo per un’ora, un‘altra per settimane, un’altra ancora per mesi e anni. Ognuna aveva qualcosa d’inconfondibile e meraviglioso. La donna dei miei sogni era la bellezza di ognuna di loro. Siamo belli solo in ciò che gli altri vedono di bello in noi. E in ciascuna vedevo qualcosa di bello e incantevole. Ma ora erano là. Distanti. Sole, oppure in un letto caldo con un uomo. Una piangeva di felicità, un'altra aveva le palpitazioni che si nascondono solo in un primo bacio. O almeno io le immaginavo così. Ed io?. Io ero lì che soccombevo nel buio, sotto i loro sguardi. Perso nel loro ricordo. Ero stato incapace di trattenerle. Avevo diviso con loro la passione, l’amore adolescente del batticuore, le risa e i giochi da innamorati. Ma non sono mai andato oltre, il resto lo tenevo per me. Lo custodivo gelosamente, aspettando Godot. Mi alzai e mi misi a fumare una sigaretta alla finestra, mentre Bobo Rondelli cantava nel mio stereo:
“sogna l’anima in pena di inabissarsi in fondo agli occhi della sirena”.
La vita, la mia vita era arrivata a una svolta. Non più freni. Non più limiti. Solo l’ultimo giro di possibilità, come in una roulette russa. Avrei dovuto scegliere bene, non più trasportato dalle emozioni. Mi versai un Rhum, un anniversario invecchiato 6 anni. Da piccino mio nonno mi raccontava che, per darsi coraggio, i pirati mescolavano il rhum con la polvere da sparo prima di assalire una barca. Non avevo la polvere da sparo, ma compensavo con le mie Camel. Dalla finestra si vedevano le luci in lontananza. Mi sono sempre chiesto cosa facesse la gente in quel preciso istante, illuminata da quelle luci sulla montagna. Forse un po’ malinconica come immagine, ma senz’altro mia. Cosa avrei fatto della mia vita ora?. Non lo sapevo, non volevo saperlo. In realtà non era vero che non sapevo cosa fare. Lo sapevo benissimo. Ma fare un passo avanti significava superare certi limiti. Non ero mai stato capace in tutta la mia vita di impegnarmi in qualcosa di duraturo. Si avevo studiato, ma sapevo benissimo che ci sarebbe stato un punto. Avrei dovuto firmare un contratto a tempo indeterminato, richiamare Ana e dirle che la amavo, magari chiedergli di sposarci. Ma ero spaventato da tutto questo, spaventato dalle virgole. Preferisco i punti, sono più decisi. Tagliano. Non lasciano spazio al futuro. Solo il mare di Barcellona era per sempre, infinito. Era il mio per sempre. Ma ora. Qui. In questa provincia arida. Ero spaventato dalle virgole che avrei dovuto mettere. Il coraggio, ecco. Mi mancava il coraggio di mettere virgole e non più punti. Indeterminato, finché morti non ci separi. Decisi allora di riabbracciare il mare. Ma oramai era troppo tardi. Si sa l’alba spazza via anche il più meraviglioso dei sogni con il primo raggio di sole.
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